Crescita personale

Recruiter e candidati: la mancanza d’empatia e la ricerca del feedback perduto

Chiunque frequenti LinkedIn ha modo di osservare la presenza costante di post tra loro simili o con un leitmotiv abbastanza ricorrente.
Uno di questi riguarda i dibattiti sui recruiter e candidati.

Spesso, infatti, mi capita di osservare post in cui:

  • recruiter si lamentano di candidati e di colloqui
  • candidati si lamentano di non trovare lavoro o di non avere nemmeno un feedback da parte dei recruiter.

L’altro giorno su LinkedIn mi sono imbattuta in un post di una recruiter in cui veniva messo in luce il “conflitto” tra queste due parti.

Recruiter e candidati: vittime e carnefici

Nel contemporaneo panorama di offerta/ricerca di lavoro, lei rilevava come spesso i recruiter venissero etichettati come carnefici e i candidati come vittime.
Lei rilevava anche come questo creasse talvolta degli schieramenti tra le due parti.

A questo proposito, è nata in me una riflessione.

Viviamo in un momento difficile.
Lo sappiamo.

Viviamo in un mondo che si è impoverito di valori umani.
Credo che tutti possiamo essere d’accordo su questo.

Se parliamo di persone, possiamo dire che è difficile trovare onestà?
Possiamo affermare che, in molti settori sia difficile trovare ancora gentilezza? 
Non impossibile. Semplicemente più difficile di prima.

Possiamo essere certi che sia molto più facile trovare frustrazione, rifiuto della realtà.
Modi per lamentarsi e lamentarsi ancora.

Di questo, i social sono sempre stati terreno fertile.

Recruiter e candidati

La ricerca di lavoro e i feedback: recruiter e candidati a confronto

Oggi è difficile trovare lavoro
Non che un tempo fosse facile.

Però oggi la ricerca di lavoro appare essere molto più impegnativa: spesso si dice, infatti, che cercare lavoro sia, a tutti gli effetti, un lavoro.

Il fatto di cercare lavoro e di non trovarlo genera nel candidato già una buona dose di frustrazione, ovviamente.

Ma non solo.
Oggi sappiamo che è anche difficile avere anche solo un feedback, una risposta (anche negativa) ad una propria candidatura di lavoro.

A me è capitato circa un mese fa.
Ho inviato una candidatura e, dopo pochi giorni, ho ricevuto un feedback negativo.
Sono rimasta a tal punto stupita dal fatto di aver ricevuto anche solo un riscontro, che ho risposto alla mail, ringraziando la recruiter di avermi dato il feedback.

In pratica, ho ringraziato per aver ricevuto una risposta negativa.

Rende bene la situazione in cui ci troviamo oggi, credo.

Purtroppo la scusante del “momento difficile” o del “periodo Coronavirus”, in questo caso, non regge: io mandavo molte candidature anche prima di trovare lavoro (anno 2013-15) e anche in quegli anni di feedback se ne ricevevano ben pochi. 
Quindi escluderei il fattore “pandemia” dai motivi per i quali ben pochi di noi ricevono feedback alle proprie candidature.

Ma io non sono una recruiter.
Partiamo da questo.

Recruiter e candidati

E non ho idea di quante candidature possa ricevere un recruiter oggigiorno: immagino moltissime. 
Non è difficile da pensare, no?

La mancanza di feedback

Adesso cerco di guardare la questione da una diversa angolazione.

Da candidata io non ho mai condiviso la mancanza di feedback
Personalmente, credo che una risposta sia sempre doveroso darla.

Non condivido l’atteggiamento di un’azienda che non risponde ad una candidatura, ad una proposta, ad un progetto. 
Ma questa è solo la mia opinione.

Recruiter e candidati

Il punto è questo: io non so se, onestamente, al posto loro sarei in grado di fare meglio. 
Nessuno di noi può saperlo, fino a quando non si ritrova ad essere al posto di una persona (o di un ruolo) che sta giudicando. 

Ora provo a guardare la situazione da un altro punto di vista ancora.

La mancanza di empatia e le sue conseguenze

L’empatia ormai sembra essere una “specie” in via d’estinzione.

Lo possiamo osservare in tutti gli aspetti della vita quotidiana, anche in questa questione recruiter/candidati.

Gli uni non si mettono nei panni degli altri.
Si formano incomprensioni, discussioni sterili.
Si delineano due fazioni, che raccolgono idee contrapposte.

Di solito non è così facile trovare persone disposte a mettersi nei panni dell’altro, anche perché è anche vero che non tutti sono in grado di farlo.
Ma ascoltare e porre domande è l’unico modo per conoscere veramente una persona, un ruolo e creare così un ponte d’accesso per riuscire a vestire i suoi panni.

A questo proposito, mi viene in mente una frase che ho letto giorni fa, di Henry Ford

Il segreto del successo nella vita, se ne esiste uno, risiede nella capacità di comprendere il punto di vista dell’altro  e vedere le cose attraverso i suoi occhi”.

Recruiter e candidati

Imparare a lasciare fluire le situazioni: tra recruiter e candidati di chi è la responsabilità?

C’è poi un’altra questione da considerare, ancora più difficile da realizzare, forse, perché di natura più “spirituale”.

A volte sarebbe necessario lasciar fluire le situazioni e le persone dalla nostra vita.
Sarebbe opportuno fare il proprio percorso, senza imporsi su quello degli altri.
Senza occuparsi minimamente di quello degli altri.

In altre parole: dare senza pretendere.
Senza pretendere che gli altri capiscano o ti restituiscano quello che hai dato.

In altre parole ancora: se mandi un curriculum e non ti viene dato feedback, quello non è un tuo problema.
Nel senso che tu non puoi lavorarci su. Non puoi gestirlo, non puoi risolverlo.

Questo perché il modo in cui tu ti poni è una tua responsabilità.
Le azioni che fai, i gesti che compi.
Il modo in cui gli altri rispondono (o meno) è una loro responsabilità.

Non è tuo (nostro) compito occuparcene.

Il compito di un candidato

Il tuo compito (il mio compito) come candidato è andare avanti nella ricerca di un proprio percorso di crescita. E di lavoro.

Questa è solo la mia opinione, ovviamente.

Recruiter e candidati

Non sto dicendo che è bello non avere una risposta: non lo è.
Come non è bello essere sempre, perennemente, scartati dai recruiter e dal mondo del lavoro.

O sentirsi ogni giorno svalutati.
Niente di tutto questo è bello.

Ma essere sempre incazzati con il mondo è peggio.

Senza contare poi che lamentarsi impegna energia, tempo, bruciore di stomaco, bile…
Non rende una bella immagine, vero?

Tutto questo per dire che: non ha senso intasare i social lamentandosi continuamente.
Non ha senso cercare sempre un colpevole, laddove non c’è.

Ma soprattutto: non ha assolutamente senso alimentare la propria frustrazione.
E ne so qualcosa, purtroppo.
È una via a senso unico che ti porta solo a sprecare le tue risorse.

Perché se del feedback non pervenuto di un recruiter ti liberi spegnendo il computer, della tua rabbia non ti liberi nemmeno quando chiudi gli occhi la sera.

Martina Vaggi

Photo credit: https://pixabay.com

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